giovedì 20 luglio 2006

Genova, rimembri ancor?

Non è facile tenere a freno le emozioni ricordando cosa accadde a Genova nell'estate del 2001. Specialmente per chi come me, genovese trasferitasi in Romagna, vide gli eventi di quei giorni da lontano, in televisione, con quel senso di profonda e dilaniante nostalgia che prende chi la propria città perduta la vive come fosse una gamba che ha dovuto farsi amputare, ma che da arto fantasma continua a pulsare e dolere.

Il 2001 era ancora l’anno dei viaggi nello spazio e di Also Spracht Zarathustra in quel luglio. Un signore che di lì a poco sarebbe assurto agli onori della cronaca, Osama Bin Laden, era in un ospedale a Dubai a farsi curare il fegato e sembrava ancora in buoni rapporti con gli americani che, secondo un’articolo di Le Figaro passavano spesso a trovarlo.
Anche se, come abbiamo scoperto dopo, i servizi segreti di tutto il mondo stavano avvertendo gli Stati Uniti che qualcosa di grosso bolliva in pentola e dall’altra parte dell’Atlantico si nicchiava e si ripeteva: tranquilli, no problem, tutte le preoccupazioni sembravano concentrarsi su Genova, dove i giovani e non del movimento no global si preparavano a manifestare contro il G8, la riunione dei potenti della terra che avrebbero preso le decisioni cruciali sul destino di tutta l’umanità.
Vidi tutto in tv, come ho detto prima. La preparazione dell’incontro, con Berlusconi novello presidente del consiglio che arriva in una città notoriamente civile, ma lui non lo sa, e fa la suocera lamentandosi delle mutande stese alle finestre e ordinando di spargere fiori ovunque, confondendosi con il Festival di Sanremo.
Nel contempo il centro storico viene chiuso nella cosiddetta “zona rossa”. Giustamente l’imperatore e la sua corte vogliono distinguersi dalla plebe e chiudersi nella nuova “città proibita”. Transenne, sbarre, catene, i cittadini chiusi in gabbia che devono chiedere il permesso per uscire di casa. E’ necessario, sta per scatenarsi la violenza inaudita dei no-global, dicono. D’altronde c’era stata Napoli da poco e il predecente governo di sinistra non era andato tanto per il sottile.
Tutto sembra partire invece in maniera pacifica, quel 18 luglio. Tanta allegria e musica al concerto di Manu Chao e nel primo corteo, quello dei migranti, il 19.
Venerdì 20 luglio invece, cambia tutto. In città sono segnalate le tute nere del Black Bloc, un gruppo fantomatico che dove arriva sparge devastazione. E’ strano però, le autorità cittadine segnalano ripetutamente alle forze dell’ordine i luoghi dove il Black Bloc è accampato, presso l’ex ospedale psichiatrico di Quarto, ma nessuno interviene preventivamente.
Nel primo pomeriggio è previsto il corteo delle tute bianche di Casarini, che in maniera sconsiderata ha offerto il fianco alla possibile repressione proclamando di voler “violare” la zona rossa. Una premonizione, forse, perché Genova sta in effetti per essere violata, stuprata in ogni modo, ma da un qualcosa che va oltre la pura guerriglia urbana.
Il corteo dovrebbe scendere da Corso Europa e Corso Gastaldi fino a Piazza Verdi, antistante la Stazione Brignole, dove è il limite della zona percorribile, di lì in poi inizia la città proibita. Un’area larghissima che offre varie vie di fuga, sia verso monte che verso il mare, con i due larghissimi Viali Brigata Bisagno e Brigate Partigiane che portano alla Foce, per non parlare dei giardini di Piazza della Vittoria.
Il Black Bloc si sta dedicando all’assalto del carcere di Marassi, con lanci di bottiglie molotov e devastazioni di negozi e uffici in Corso Sardegna, al di là della ferrovia, ma chi dirige le forze dell’ordine decide che è meglio occuparsi del corteo, addirittura prima che arrivi al limite prestabilito di Piazza Verdi.
Corso Gastaldi va a restringersi in Via Tolemaide, un budello che non può contenere migliaia di persone in fuga. La polizia carica, ignora il gruppo di parlamentari e giornalisti che fungono da cuscinetto tra loro e la testa del corteo, lancia lacrimogeni e inizia il pestaggio dei manifestanti che stanno arretrando verso Corso Gastaldi e defluendo nelle vie laterali.
Quando vidi le immagini di quei pestaggi nei film indipendenti che furono girati quel giorno mi venne in mente "Arancia Meccanica". Quando ho rivisto il film di Kubrick in seguito mi ricordo che ho pensato “sembra Genova”.
Intanto le tute bianche stanno dilagando nella zona di Corso Torino e gli scontri sono sempre più violenti, con la polizia che continua ad ignorare il Black Bloc, che continua le sue devastazioni altrove, praticamente indisturbato.
Alle 17 in Piazza Alimonda c’è un ragazzo di vent'anni, Carlo Giuliani. La foto che viene consegnata dai giornali alla storia ce lo mostra con il passamontagna nero, che imbraccia un estintore davanti ad un defender dei carabinieri che è rimasto isolato e circondato dai manifestanti armati di bastoni. Diranno che con l’estintore voleva uccidere, che era un criminale.
E’ lui che muore, però, ucciso da un colpo di pistola che gli spappola il viso. Il defender, improvvisamente liberatosi dal cul-de-sac gli passa sopra due volte.
Sul defender c’e un ragazzone calabrese di vent’anni come Carlo. Dirà in seguito che ha sparato due colpi, verso l’alto, per legittima difesa, perché era terrorizzato, perché era intossicato dai lacrimogeni e perché nessuno dei colleghi che erano a pochi passi nella piazza erano intervenuti per proteggere lui e gli altri occupanti del mezzo.
Sembra una spiegazione logica. Però Carlo era piccolo di statura, lo chiamavano “piccín”, un colpo verso l’alto l’avrebbe quasi sicuramente mancato. Nel corso dell’inchiesta successiva che si concluderà con l’archiviazione e che getterà comunque tutta la responsabilità sulle spalle di Mario Placanica, il carabiniere giovane e inesperto, girerà una bizzarra teoria su calcinacci volanti che deviano il proiettile fino a colpire Carlo.
Una tragica fatalità, insomma, e sulle responsabilità di chi quel giorno, dalle alte sfere, doveva difendere quei due ragazzi calerà invece la nebbia dell’ennesimo mistero italiano.
In fondo quel ragazzo con il passamontagna se l’era cercata, è il messaggio finale per il popolo dei teleutenti.
La pietà è merce rara in quei giorni. Le mamme benpensanti d’Italia, di solito dalla lacrima facile, sentenziano che sarebbe stato meglio fosse rimasto a casa come tutti i ragazzini per bene, cioè i loro figli e lasceranno da sola Heidi, la mamma di Carlo, a piangere sulla sua morte e a cercare di difendere la sua memoria.
***
Il giorno dopo la tragica morte di Carlo Giuliani una grande manifestazione del Genoa Social Forum parte da Sturla per scendere verso la Foce, lungo Corso Italia. L’intento è quello di protestare pacificamente contro la repressione e le violenze culminate nei fatti di Piazza Alimonda del giorno prima.
Sto seguendo l’intera manifestazione in tv, sul canale satellitare di Primocanale, quando ad un certo punto i commentatori iniziano a parlare dell’arrivo di “anarchici” che stanno devastando la zona presso Piazzale Kennedy (antistante la Fiera) e mi accorgo di un fatto molto strano.
La polizia, come si vede chiaramente dalle riprese televisive, è schierata a fianco della Fiera, alla fine dei Viali Brigate Partigiane e Bisagno, (rispetto alla foto qui sopra, nella parte alta).
Il corteo sta arrivando da Corso Italia, (parte bassa della foto). Alla sua sinistra c’è il mare, a destra vi sono vie laterali, come Via Rimassa, Via Casaregis e Piazza Rossetti che portano alla zona di Corso Torino, luogo da dove provengono le tute nere del Black Bloc.
Non credo ci sarebbe stato bisogno di Napoleone per capire che, per evitare il contatto tra il corteo del GSF e il BB, bastava bloccare queste vie d’accesso a Corso Italia.
Invece, il Black Bloc può affluire indisturbato sul lungomare, dilagare nella zona di Corso Marconi (nella foto) e devastare in santa pace negozi e uffici, con la polizia sempre immobile alla Fiera ed io che continuo a domandarmi “ma perché non intervengono?” Il corteo è sempre fermo alla fine di Corso Italia. Ripeto, sembra impossibile ma, lo si è visto nelle immagini televisive, le forze dell’ordine in grande numero non fanno nulla per fermare al massimo una quarantina di Black Bloc, che, a missione compiuta, se ne scappano da dove sono venuti e dove, a quanto risulta, nessuno li catturerà.
A questo punto la follia pura. La polizia comincia ad avanzare lungo Corso Marconi verso il corteo del GSF e sembra aver intenzione di caricare. Molte persone trovano scampo verso Via Nizza ma la strada è troppo stretta per una folla in fuga e non c’è altro da fare che ripiegare verso Corso Italia. Lì la polizia si accanirà contro tutto ciò che si muove e respira. Faranno scalpore le immagini delle persone insanguinate, compresi alcuni bambini piccoli in braccio ai genitori e anziani, mostrate in apertura al TG1 nei giorni successivi. Lì per lì si disse, beh, una volta tanto i giornalisti hanno avuto il coraggio di mostrare la verità. A distanza di anni comincio a credere che quell’orrore sia stato mostrato per insegnarci qualcosa. Che, per il nostro bene, è meglio non scendere in piazza a manifestare. L’ultima giornata delle manifestazioni contro il G8 si chiude con un bilancio da guerra civile: un morto, 560 feriti, 301 arrestati o fermati, circa 50 miliardi di danni.
Ma non è ancora finita.
Nella notte tra sabato e domenica, la polizia finalmente va a stanare i Black Bloc quando ormai non c’è più nessuno da prendere, e non all’ex manicomio di Quarto dove gli era stato detto che si trovavano, ma negli edifici delle scuole Diaz, a Sturla, dove sono accampati molti manifestanti e ha sede l’ufficio stampa del GSF. La polizia fa irruzione in piena notte, e molti ragazzi vengono colpiti mentre stanno dormendo per terra nei sacchi a pelo, lo testimoniano le chiazze di sangue fresco a livello del pavimento che l’ineffabile San Tommaso Feltri definirà “di succo di pomodoro”. Il blitz porta a 93 fermati e 66 feriti, tra i quali numerosi stranieri.
Dalle inchieste scaturite dalle denunce si apprenderà che furono addotte prove false, come un paio di bottiglie molotov portate dal di fuori, per giustificare l’irruzione e gli arresti.

A margine del blitz della Scuola Diaz vi è l’oscuro episodio della Caserma di Bolzaneto, dove molti dei fermati furono condotti e dove, secondo molte testimonianze, alcuni esponenti delle forze dell’ordine si lasciarono andare ad ulteriori violenze nei loro confronti. Come se a qualcuno fosse stato dato il via libera per sfogare il proprio personale odio politico nei confronti dei manifestanti.
Una situazione inaudita per un paese civile, le cui forze dell’ordine dovrebbero sempre essere al di sopra delle parti.
Massimo D’Alema parlò giustamente di una “notte cilena”, ma sarebbe bene ricordare come, quel giorno in Corso Italia, prologo dei fatti di quella notte, non vi fosse il famoso servizio d’ordine dei DS, che avrebbe saputo forse tamponare gli effetti delle cariche e contenere meglio l’infiltrazione del Black Bloc nel corteo del GSF. I distinguo e la voglia di lavarsene le mani dei partiti della sinistra moderata permisero, io credo, a chi voleva reprimere di connotare l’intero corteo come “estremista” e quindi di estremizzare anche la repressione.
Come dicevo ieri nella prima parte, Genova in quei tre giorni fu stuprata sotto gli occhi del mondo, la sua civiltà e orgogliosa compostezza furono sopraffatte dalla cieca violenza. Una violenza che, o fu cercata scientificamente, o non si fece abbastanza per evitarla. Fu un momento di follia che però potrebbe essere nato da motivi ben precisi che possono essere compresi osservando ciò che è avvenuto in seguito.
Il movimento no global, di fatto, non ha mai più ottenuto lo stesso tipo di ascolto dai mass media tradizionali né vi sono mai più state manifestazioni di quel tipo e di quella imponenza. Tutte le anime che lo componevano, da quelle di estrema sinistra a quelle cattoliche, dal pacifismo puro alle varie espressioni di rifiuto della globalizzazione di ogni colore politico, comprese alcune frange della destra anticapitalista, sono state bollate come ribellione eversiva tout court.
Da Genova in poi il no global è diventato un nemico del nuovo ordine mondiale. Il messaggio che è entrato nelle nostre orecchie e si è annidato bene in mente è che la globalizzazione deve andare avanti, che ci piaccia o no. E di lì a poco meno di due mesi, con il fragore del crollo delle due torri a New York avremmo smesso ulteriormente di sognare. Era il 2001, il primo anno di guerra.
P.S. Sull'Unità di oggi viene riportata la contrarietà di Violante all'istituzione della Commissione Parlamentare d'Indagine sui fatti di Genova, che pure è promessa nel programma dell'Unione. Leggi il mio intervento su BlogGoverno a riguardo.

1 commento:

  1. Anonimo18:42

    Nessun commento a questo post? Incredibile! Genova 2001 è stata la trappola più schifosa in puro stile cileno. Hanno censurato la mattanza e hanno rigirato la frittata, in modo da far apparire il no global come il mostro di turno, quasi alla pari di Al Qaeda. Stiamo ancora aspettando la famosa commissione d'inchiesta, ammesso che possa servire a qualcosa, visto che anche la "sinistra" c'è di mezzo fino al collo (e infilare Scajola alla dirigenza del COPACO è stata un'altra bella porcata). Vedremo, per il momento continuiamo a diffondere informazione sull'attacco alla società civile più infame degli ultimi decenni.

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