giovedì 31 agosto 2006

La principessa sul pisello - 20th Anniversary Edition





In occasione degli anniversari di morte si dovrebbe avere più rispetto di coloro che ‘a livella rende tutti uguali, anche di fronte alla pietà ma, a quanto pare, nemmeno essere state principesse da vive impedisce che i cronisti “cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti, e si direbbe proprio compiaciuti”, come li definiva Giorgio Gaber, si trattengano dal grufolamento.
La nota rivista “Chi”, che potrebbe fregiarsi a ragione del sottotitolo “se ne frega”, ha pubblicato con grande nocumento dei sudditi di Sua Maestà britannica le ultime immagini della principessa Diana morente. Fin dal 1997 erano girate nel profondo web foto del genere ma queste vengono venduto come quelle “origginali”. E tutto ciò per promuovere l’ennesimo libro, scritto da un certo Jean Michel Caradec'h, autore di “Diana, l'indagine criminale”. Uno il cui cognome termina apostrofo h non deve avere una vita molto facile negli uffici pubblici.

Ciò che però rende queste nuove rivelazioni sulla morte della principessa particolarmente concupite dalla stampa sono alcuni particolari a luci rosse che aprirebbero nuovi scenari sulle vere ragioni dell’incidente.
Non giriamoci tanto intorno. Il povero autista Henri Paul, come in un qualunque film pecoreccio italiano anni '70 con Alvaro Vitali, era distratto da ciò che stava accadendo sui sedili posteriori della Mercedes: Lo sciagurato allungò troppo il collo e non vide il pilone sopraggiungere, altro che Uno Bianca e servizi deviati. Gli unici servizi erano quelli idraulici che  - Dio mi riperdoni - la principessa era intenta a praticare al Dodi. Questa ipotesi nascerebbe dal fatto che il fidanzato egiziano fu ritrovato con la patta slacciata. 

Mah, io dico, ammesso che la faccenda sia vera, si rendono conto questi signori che pubblicando tali notizie, oltre a prolungare di qualche anno la psicoterapia dei figlioli della defunta, probabilmente stanno già offrendo lo spunto per il pornazzo di rito dal titolo “La principessa lo prende nel tunnel”?
Che miserie! Ma ve li ricordate i funerali in diretta e in mondovisione, con il cordoglio di un intero globo terracqueo, le lacrime dei compassati inglesi che scendevano copiose ad annacquare il tè e le migliaia di fiori e pupazzetti attaccati ai cancelli di Buckingham Palace? Elton John vestito da iettatore rock che le cantava la solita canzone da requiem, non una nuova di zecca ma una sua vecchia lagna rimaneggiata per l’occasione; gli amici un po’ così in lacrime, la suocera dallo sguardo da poker. Senza contare l'ex marito al quale il subconscio faceva pensare “Già...! Ora mammà non potrà più rompermi i maroni con Camilla”. E poi il j'accuse del fratello, la sepoltura nel mausoleo e l’invocazione della canonizzazione immediata, propiziata dalla morte avvenuta quasi all’unisono con quella di Madre Teresa?

Dopo quasi dieci anni tutta questa sofferenza sembra essere finita nel dimenticatoio e il mito è stato sottoposto a demolizione controllata come una Punta Perotti qualunque. E per giunta con una bella dose di zolfo. La bella Diana, prima monica poi dimonia.
Che l’antesignana delle Sante Subito fosse in realtà una che amava rendere la pariglia ce lo suggerirono quando leggemmo che, pur giunta illibata alle nozze con il Principe Racchio si era messa velocemente in pari collezionando, si dicono, una quattordicina di amanti.
Quando venne fuori la storia dell’amante Hewitt mezza corte inglese si battè la fronte ed esclamò “Ecco a chi assomigliava il principino Henry!”. Nel suo ultimo anno di vita due scuole di pensiero si confrontarono sulle affascinanti ipotesi attorno all’ultimo amante e sulla paternità del presunto figlio che Diana si diceva attendesse: la scuola di Francoforte propendeva per il pakistano (nel senso di uomo nato in Pakistan), quella di San Francisco era invece per l’ipotesi Dodi Al Fayed. In entrambi i casi si trattava di musulmani. Assurdo pensare che la Corte inglese potesse acconsentire alle nozze.
Il mancato suocero bottegaio di lusso Al Fayed la mena da anni con il complotto dell’MI6 e intanto vende le tazze serigrafate con le mortine dei due amanti nel suo supermercato di lusso, le quali però cominciano ad accumularsi pericolosamente tra l’invenduto.
Il vedovo consolabile si è finalmente accasato con la donna della sua vita Camilla. L’amore inossidabile ha trionfato e i due non fanno più notizia. Lei, Camilla, da carogna finita quale era dipinta, è diventata simpatica e perfino attraente, forse per qualche magia di Harry Potter. I due figlioli della morta le vogliono perfino bene e la regal suocera ha ritrovato il sorriso.

La stampa, non sapendo cosa farsene di un cadavere ormai inutile cerca di liberarsene, una rivelazione sempre più scabrosa alla volta. E la povera Diana che in fondo, dopo aver visto svanire la sua immensa ambizione di diventare la vera regina d’Inghilterra si è sbattuta tanto per niente, ora rischia o di essere equiparata a quella sciacquetta di Monica Lewinski o di essere addirittura dimenticata. “Diana Chi”?

mercoledì 30 agosto 2006

I mondiali di Montalbano

Il commissariato di Vigàta era in fermento. Quella sera l’Italia si giocava la finale dei Mondiali, mancava tanticchia all’inizio e tutti speravano che per quella sera non ci fossero ammazzatine per potersi taliare la partita in santa pace.
Catarella sembrava attarantolato: “Dottori, dottori, stasera vinciamo noi, pirsonalmente di pirsona!” “Che minchia dici, Catarè” santiò Montalbano, che in queste cose era superstizioso. E poi quella serata era incazzato più del solito, si sentiva un cerchione di ferro torno torno alla testa e gli occhi gli facevano pupi pupi.
Raggiunse Livia alla trattoria San Calogero dove mangiò tanticchia di pesce e basta. Principiò a taliare la partita sul televisore e più passavano i minuti e più si faceva pirsuaso che quel grandissimo cornuto di Catarella ci aveva azzeccato anche questa volta.
Quando l’Italia segnò l’ultimo rigore e principiò un misirizzi di urla, bannere e gente che si catafotteva urlando per strada, il commissario si sentì improvvisamente guarito e soddisfatto. Taliò la zita che era ancora più commossa di lui, la strinse e se ne andarono ad adrummiscire stanchi ma felici.
Omaggio affettuoso al maestro Camilleri

La Fallaci sulla finale dei mondiali

Tra i commenti sull'imminente finale dei mondiali non poteva mancare il commento di Oriana Fallaci, che volentieri pubblico.

"Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo, perdio.
Io non seguo il calcio, che trovo un divertimento adatto solo a dei fottuti idioti, ma non si può non tifare Italia per il bene del nostro povero paese e dell’Eurasia.
Ma li avete visti i cosiddetti francesi? Voltaire si rivolterà nella tomba, si permette perfino ai musulmani di scendere in campo con quel Zidane, bella faccia da stupratore.
Volete che le vostre figlie siano costrette alla guepiére e i ragazzi obbligati ad bere champagne? No, piuttosto che vedere una copia della tour Eiffel vicino alla mia casa a Radicofani ci piazzo sotto una bomba.
E ora non chiedetemi più nulla, maremma maiala. Meno che mai, di partecipare a cortei o a schiamazzi notturni. Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta, e levatevi da ‘oglioni. "

Oriana vera o falsa?

lunedì 28 agosto 2006

L'uomo che sapeva (troppo?)


Tra pochi giorni saranno trascorsi cinque anni dalla tragedia dell’11 settembre 2001. Nei mesi precedenti a quel terribile evento ci fu una persona che si batté come un leone per evitarla ma non fu ascoltato, anzi la sorte volle che morisse anche lui assieme alle altre 2806 vittime di quel giorno. Chi non ha voluto ascoltare John O’Neill e perchè? E’ stata solo un’imperdonabile leggerezza?
La sera del 10 settembre 2001, alcuni amici stanno cenando in un ristorante chic, l’Elaine’s, nell’Upper East Side di New York. Uno di loro è John O’Neill, 49 anni, ex pezzo grosso dell’antiterrorismo FBI, dimissionario da un mese e neo responsabile della sicurezza del World Trade Center.
Succederà qualcosa… qualcosa di enorme… Ci sarà un cambio… una grossa scossa” confida preoccupato ai suoi ospiti. “Non mi piace come si stanno mettendo le cose in Afghanistan” [il giorno prima era stato assassinato il leader afgano Ahmed Shah Massoud]. Chris Isham, di ABC News, gli dice scherzando: “Adesso hai un lavoro tranquillo nel WTC, lì non metteranno bombe un’altra volta.” O’Neill risponde: “Stanno ancora pensando di finire il lavoro. Lo faranno di nuovo.”
John O’Neill era entrato nell’FBI nel 1976 e nel 1995 era approdato all’antiterrorismo, fungendo da uomo di collegamento con le altre agenzie governative come la NSC e la CIA. Esperto assoluto di terrorismo internazionale, contribuisce a far catturare Ramzi Yousef, l’uomo dietro il primo attentato al World Trade Center nel 1993.
Nel 1996 investiga sull’attentato alle Khobar Towers di Dharan, Arabia Saudita, dove rimangono uccisi 19 soldati americani e altri 500 vengono feriti dall’esplosione. E’ a quell’epoca che John per la prima volta si accorge della reticenza dei suoi superiori, come il direttore Louis Freeh, ad investigare sulle responsabilità terroristiche dell’Arabia Saudita.
Il 7 agosto del 1998 due esplosioni scuotono le ambasciate Americane a Nairobi, Kenya e a Dar es Salaam, Tanzania, causando 224 vittime e migliaia di feriti. O’Neill non ha dubbi, solo Al Qaeda può aver realizzato un attentato così sofisticato.
Nel 1999 un banale incidente alla sua macchina e l’utilizzo di un’auto dell’FBI per portare la moglie all’ospedale lo fanno finire sotto inchiesta interna. E’ l’inizio di una lunga serie di episodi di mobbing che lo porteranno infine alle dimissioni dal Bureau.
Nel luglio del 2000, durante una conferenza in Florida, John risponde ad una chiamata al cellulare e si allontana momentaneamente dalla sala. Al suo ritorno la sua valigetta contenente importanti documenti è sparita. Nonostante questa venga ritrovata praticamente intatta poche ore dopo, l’episodio dà adito all’ennesima inchiesta disciplinare contro di lui.
Il 12 ottobre, nella Baia di Aden in Yemen l’attentato alla USS Cole provoca la morte di 17 marinai americani. O’Neill è inviato ad investigare sul posto ma l’ennesimo ostacolo alle sue indagini è rappresentato dall’ambasciatrice Barbara Bodine, la quale non sembra apprezzare la presenza sul suo territorio di centinaia di agenti dell’FBI in cerca di prove. Nel gennaio del 2001, dopo una breve licenza negli Stati Uniti, O’Neill vuole ritornare in Yemen per seguire le tracce della locale cellula di Al Qaeda, ma sorprendentemente la Bodine gli nega il visto d’entrata. Nonostante questa imperdonabile leggerezza nel sottovalutare il pericolo Al Qaeda l’ambasciatrice sarà in seguito premiata con la nomina a coordinatrice per l’Iraq centrale dell’amministrazione civile americana nel 2003.
Durante la primavera e l’estate del 2001 John O’Neill è sempre più frustrato di vedere le sue indagini cadere nel nulla, come i suoi sforzi per incastrare Al Qaeda ed i suoi più pericolosi terroristi. Privati della copertura necessaria, gli uomini di O’Neill sono costretti ad abbandonare lo Yemen in giugno nonostante siano riusciti ad arrestare il terrorista Fahad al-Quso, legato a due uomini che sarebbero divenuti celebri come pilota e copilota del volo 77 dell’American Airlines che si sarebbe schiantato contro il Pentagono.
Anche il neo direttore ad interim dell’FBI Tom Pickard non è da meno nel mettergli i bastoni tra le ruote. Un ulteriore motivo di delusione è rappresentato per John dalla scoperta dei finanziamenti della famiglia saudita a Osama Bin Laden e dalla sensazione che l’amministrazione USA non voglia inimicarsi troppo i sauditi per ragioni petrolifere. Queste rivelazioni sono inserite nel libro “Bin Laden la vérité interdite” (Bin Laden la verità proibita) di Jean-Charles Brisard e Guillaume Dasquié, pubblicato alla fine del novembre 2001.
John lascia definitivamente il Bureau il 22 agosto e accetta un nuovo lavoro come capo della sicurezza del WTC . [New Yorker, 1/14/2002]
L’11 settembre è al 34° piano della Torre Nord, nel suo ufficio. Non farà in tempo a vedere confermati i suoi sospetti, a vedere i membri della famiglia Bin Laden scorrazzare liberamente per gli Stati Uniti nei giorni successivi, gli attacchi all’antrace, la guerra in Afghanistan, la guerra in Iraq, la fallimentare rinuncia alla cattura di Osama. L’uomo che sapeva troppo, il figlio di un taxista di Atlanta, amante della bella vita, amico di Robert De Niro, lavoratore instancabile e segugio dal fiuto infallibile, morirà assieme alle altre 2806 vittime degli attacchi alle due torri.
Su John O’Neill sono stati realizzati: un bel documentario, “The Man Who Knew”, trasmesso anche dalla RAI nella rubrica “La storia siamo noi” di Giovanni Minoli e un film intitolato “Chi ha ucciso John O’Neill” dei registi indipendenti Ty Rauber e Ryan Thurston.

giovedì 24 agosto 2006

Da morire dal ridere

Uno normalmente penserebbe che lavorando nel settore funerario si debba essere persone tristi, vestite di scuro, sempre sull’orlo della depressione, con le pastiglie del Prozac al posto dei Tic-Tac.Niente di più falso. Credete a me che, pur solo per otto mesi, ci ho lavorato.

Avevano bisogno di qualcuno che sapesse usare i computer per gestire tutto il settore della grafica. Traduzione: facevo al computer le “mortine” (o ricordini), i manifesti, l’impostazione per le scritte sulle lapidi e intanto tenevo aperto il negozio sul viale del cimitero dove si ordinavano le lapidi, e si comperavano i vasetti per i fiori e le cere per lucidare il marmo.
Ehi, ragazzi, cosa fate con le mani nei pantaloni? E’ un mestiere come un altro. Non vi piacciono i film horror, “Quella casa accanto al cimitero?”, “Zombi 1,2,3 e 4?”
Dicevo all’inizio che si rideva. E come fai a non ridere con quello che può capitarti? Giuro che sono tutti fatti veri visti con i miei occhi:
La signora che entra in negozio e chiede se facciamo le fotoceramiche. Io rispondo “si, ha la fotografia con sé”? E lei, “certo” e tira fuori la foto del cane. Una lacrimuccia a lato dell’occhio destro, “Questo è Boby, mi è morto da poco e con mio marito vorremmo fargli la tomba in giardino”. La signora rinunciò all'idea e cominciò ad elaborare il lutto quando venne a sapere il prezzo della fotoceramica: 120.000 (si andava ancora in lire).
Ancora cani. Una mattina mi chiamano nel laboratorio delle lapidi per una impostazione urgente. Vedo la mia collega sorridere, e capisco il perché quando leggo il nome della bestia da incidere sul marmo: “STRESS”.
Le foto per i manifesti metterebbero alla prova anche i maggiori esperti di Photoshop. Ho dovuto sudare sette camicie in molte occasioni: con quello che mi porse la foto della madre e mi chiese se per favore potevo “toglierle i baffi”, con quell’altra vedova che mi portò la foto del matrimonio da dove dovetti cancellare, nell’ordine: lei (che era abbarbicata al marito come una piovra, con braccia dappertutto), gli invitati e lo sfondo che andava sostituito con il giardino di casa. Un’altra volta alla foto (a colori) del defunto doveva essere aggiunto un cane, del quale c’era però solo la foto in bianco e nero.
Con le lapidi le richieste strane non mancavano. Una tipa voleva, al posto del solito Cristo o mazzo di rose, un gabbiano, perché il morto amava tanto il mare. Ok, cerca pure qualche immagine bella di gabbiano con il suo piumaggio bianco e nero, il becco tornito ecc. ma non era mai soddisfatta: “più stilizzato, più semplice!..” Alla fine, sul punto di strangolarla le chiesi di disegnare lei ciò che voleva e lei mi fa uno sgorbio, una specie di logo della Nike. Ma vaffan…
Come si fa a non ridere quando, nel tirare su la cassa al funerale, ad uno dei portantini si strappano i calzoni dalla cintura fino al cavallo? O quando sei a tarda sera ancora in laboratorio per finire un lavoro e arriva una scossa di terremoto del 4° Richter che fa tremare tutte le lapidi, con tintinnio di portafiori e croci? Non è meglio di Dario Argento?
Sono ancora in rapporti di quasi amicizia con uno dei titolari della ditta, ogni tanto passo di lì e ci facciamo due risate. A proposito, le bare come nell’immagine le ha veramente nell’esposizione di cofani del retrobottega. Pare che vadano molto. ;-)
P.S. Se ancora non credete che i beccamorti abbiano il senso dell'umorismo andatevi a guardare questo calendario, altro che Max!

lunedì 21 agosto 2006

Passiamo dall'IKEÁ

Ho letto un divertentissimo post dell’amico Cima su una sua visita all’IKEA e non posso che condividere ciò che lui ha scritto.

Credo che l’IKEA sia un non-luogo, uguale a se stesso sia che tu sia a Parigi (dove giustamente la chiamano IKEÁ, con l’accento) o a Casalecchio di Reno, come nel mio caso, e sono sicura che anche lui e i suoi bambini mappini avranno notato i nuovi peluche in vendita nel paradiso svedese del consumatore.
Io ho comperato questo, che non è un topo, è proprio una zoccola da chiavica , tanto è grosso, ma a me è piaciuto tanto. Sarò normale?

Sempre meglio però dello squalo di peluche, della piovra o del pipistrello (qual è il target: i bambini della famiglia Addams?) E la testa di cavallo Minnen, che mi ha fatto pensare alla famosa scena del Padrino?
Mi hanno fatto molta tristezza i pupazzetti dei mostriciattoli alieni, tutti invenduti e al prezzo stracciato di un misero euro. Forse è vera la teoria che l’oggetto transizionale, ovvero ciò che pomposamente per la psicanalisi è l’orsacchiotto, deve essere qualcosa di familiare, con il quale il bambino possa identificarsi. L’alieno è effettivamente un po’ forte, a parte forse per il figlio di Mulder e Scully.

Un classico argomento di satira sull’IKEA sono i nomi degli articoli, ma non vedo qual’è il problema. Se al posto di KLIPPAN o MINNEN, O KLAPPA ci fossero, mettiamo, nomi derivati dai dialetti italiani, non sarebbe lo stesso?

Ve lo immaginate? L’IKEA è diventata una grande multinazionale italiana, nel suo ristorante si mangiano spaghetti, pizze e polpette di mandolino. Gli articoli hanno nomi curiosi come CREUZA (una simpatica scaletta), BELINUN (i genovesi se lo traducano come vogliono), PIRLA (uno scaffale componibile), BALENGO (sono indecisa tra un divano e un dondolo), GUNDUN (sempre per i genovesi, tanto gli altri non capiscono e lo comprano come strofinaccio da cucina), CABBASISI, OSEO, SPACCASTROMMOLE (un martello?), FETUSO, SOCMEL (questo se lo gestiscano i bolognesi) e via discorrendo.

Una cosa che ti fanno notare e diciamolo, che ti fanno pesare all’IKEA è quanto sono bravi a contenere i prezzi. Ovunque trovi cartelli con scritto: “Lo sappiamo che portarsi il divano in spalla fino a casa è fatica, ma vuoi mettere il risparmio?” “Hai dovuto noleggiare un furgone per venire a ritirare i mobili? Vedrai che in un paio di anni ti rifai della spesa”.
Il più inquietante però è al self-service, dove c’è scritto: “Se riporti il vassoio tu possiamo risparmiare sul personale”. A me è andato il salmone all’aneto di traverso. Poi, quando mi sono alzata con il vassoio per portarlo nell’apposita rastrelliera, una giovane donzella in divisa IKEA si è precipitata e mi ha letteralmente strappato il vassoio dalle mani. E’ un simpatico gioco aziendale. Se i dipendenti riescono a intercettare più di 100 vassoi al giorno l’IKEA li tiene per altri 15 giorni a progetto.

Infine i bambini. Non capisco perché il cliente medio dell’IKEA abbia sempre con sé non meno di tre bambini, tutti da sedare con il Ritalin.
Nonostante all’ingresso vi sia un’area attrezzata apposita per parcheggiarli i genitori insistono nel trascinarseli dietro per tutto il magazzino assieme alle megaborse gialle di plastica piene di cianfrusaglie.
Oppure è un’altra trovata dell’IKEA, consegnare all’ingresso anche a chi non ha figli una bella terna di marmocchi, come accompagnatori, per non farli sentire soli.
Io credo che i genitori non si fidino di lasciarli a nuotare ed essere risucchiati e sparire tra le palline colorate del pentolone nell’entrata. Tra le leggende metropolitane sull’IKEA c’è anche quella che le polpette svedesi le facciano con i poveri resti…

venerdì 18 agosto 2006

In che cosa posso esserle inutile?

Dite la verità, non mascheratevi dietro un buonismo ipocrita, cosa ne pensate veramente, ma proprio veramente, degli operatori dei call-center?
Non ditemi che fanno un lavoro infame, che sono co-co-costretti a lavorare per pochi centesimi e ne hanno per le palle di essere co-co-cortesi. Posso essere sempre dalla parte dei lavoratori, soprattutto di quelli sfruttati ma se uno mi risponde come quella signorina che giorni fa mi ha risposto al call-center di Sky mi sento come Mr. Blonde quando accende la radio e mette mano al rasoio.

Avevo chiamato per una cosuccia da niente, un aumento non annunciato dell’abbonamento mensile, ma la donzella, che doveva essere in realtà Murdoch in persona in uno dei suoi più riusciti travestimenti, mi ha risposto che dovevo accettare la modifica della tariffa perché così stava scritto nel contratto. Il tutto con il tono strafottente di chi sa di essere dalla parte del più forte. Ho cercato di essere gentile, anche se il sangue era già alla testa: “Signorina Schultz….” Ma lei insisteva che ormai era tardi, avrei dovuto disdire due mesi fa, adesso (questo era il senso e il tono) erano stracazzi miei. Ecco, una vera collaborazionista, da suggerire per il ruolo di kapò.

Quelli dei call-center sono di due specie: quelli che “ti chiamano loro” e quelli che “li chiami tu” per bisogno. Difficile capire quali sono i peggiori anche se a volte, nella seconda categoria, se ne trovano di quasi umani e pensanti, come l’operatrice di UPS che mi ha risposto l’altro giorno, che credo fosse fornita anche di pollice opponibile.

Gli appartenenti alla prima categoria telefonano all’una meno cinque mentre sto scolando la pasta o friggendo i fiori di zucca per dirmi che “la Telecom sta rinnovando tutti i suoi impianti (??) e quindi tra 15 giorni mi arriverà un pacco….”
Al che io urlo “Come, come?? Alt, lei vuole vendermi la ADSL?!”
Silenzio dall’altra parte, “si, veramente stiamo in promozione con Alice…”
Ho istruito i miei anziani genitori a legarsi all’albero maestro e tapparsi le orecchie con la cera quando telefonano queste “sirene” propalatrici di notizie false e tendenziose, dopo che un mio amico si è vista installata l’ISDN senza averla mai chiesta, solo per aver risposto alla signorina “si, mi dica”. Non potrò mai dimenticare un certo Pedro, dallo spiccato accento sudamericano, che mi tenne al telefono un quarto d’ora, sempre per Telecom, finendo per raccontarmi delle bellezze della Patagonia.

Ci sono quelli che ti chiamano per offrirti buoni premio se ti presenti all’Hotel Tal dei Tali il prossimo sabato, quelli che devono venderti per forza sei ettolitri di vino e olio extra-vergine di oliva, gli altri che vogliono rifilarti abbonamenti a “Brava Casa” (!!). Quelli che si presentano come araldi di Piepoli incaricati di un sondaggio e poi scopri che ti vogliono vendere la solita paccottiglia inutile.
Molesti, invadenti, inopportuni, come le mosche cavalline. E poi vanno a ondate, come una volta gli avvistamenti di UFO. Per giorni non li senti, poi improvvisamente tutti insieme: in un giorno sette telefonate.

Quelli della seconda categoria invece sei costretto a chiamarli tu perché hai bisogno di comunicare con i loro padroni, tipo la stronzetta di Sky di cui sopra. Io dico che li addestrano con cura affinché non riescano a darti le informazioni che cerchi e in più per i più bravi c’è anche il diplomino da rottweiler. Per la mia esperienza la Palma d’Oro va a Tiscali. Per un cambio di dominio web ricordo una dozzina di telefonate, sempre a vuoto, con la signorina che non capiva una cippa e ogni volta mi indirizzava al numero e al collega sbagliato. Un’incubo. Ma anche Wind non se la cavò male in una serie di occasioni, anzi penso che quasi quasi ci si orienterà per l’ex-aequo con Tiscali.
Riassumento, inutili quando li chiami, invadenti quando ti telefonano.

Ho deciso, la prossima volta che mi chiama Telecom, che è la più assidua in assoluto, uso una nuova arma, la supercazzola:

“Pronto?”

”Buongiorno, sono Arcibalda della Telecom, potrei parlare con qualcuno che utilizza l’ADSL in casa?”

“Signorina, sbiriguda Alice come se fosse antani anche per l’ADSL in due, oppure in quattro computer anche scribai con cofandina; con scappellamento mensile, un po’ prematurata la banda larga, mi scusi dei tre telefoni qual è come se fosse tarapia tapioco che avverto la supercazzola? …. Pronto, signorina, pronto????”

martedì 15 agosto 2006

Si sono persi i nastri!

Succulenta come una bistecca al sangue, giunge sui nostri piatti la notizia che alla NASA si sono persi i nastri della missione Apollo 11, quella della passeggiata lunare. Un boccaglio di ossigeno per coloro che sostengono che “non siamo mai stati sulla Luna” mentre alla NASA possono solo attaccarsi alla canna del gas.

Come si sono ridotti! Prima mandano su le navette con le piastrelle che si staccano, piene di crepe, con i bagni rotti e gli scarrafoni.* Adesso si perdono pure le preziosissime riprese originali della più grande impresa dell’Uomo nello Spazio??? E poi dicono che non le hanno perse, solo che non le trovano più. Ma che discorso è?

Io avevo nove anni e mi ricordo come fosse adesso, i miei che mi tirano giù dal letto all’alba per farmi vedere in TV un omino in bianco e nero che viene giù da una scaletta e poi se ne va saltellando su una specie di spiaggia deserta. La foto dell’astronauta Armstrong è rimasta appesa nella mia cameretta per anni. In seguito, ogni volta che qualcuno diceva “ha toccato!!” pensavo immediatamente a Tito Stagno e alla telecronaca della RAI. Era una di quelle frasi come il “campioni del mondo!” di Martellini o “andiamo a Berlino, Beppe!” di Caressa, che ti si stampano in mente per sempre.


Poi recentemente leggo che le foto della Luna sembrano fortemente ritoccate, che allora c’erano dei computer che andavano a citrato e quindi come cappero hanno fatto a controllare la navicella, che le radiazioni e le fasce di Van Allen avrebbero fatto degli astronauti tre amburghesi allo spiedo, che avrebbero girato tutto (con la regia di Kubrick! – questa “ha veramente le tette”, come si dice dalle mie parti) in un capannone nell’Area 51 e che insomma, avete presente il film “Capricorn One”?, sarebbe stata tutta una messinscena perché Kennedy si era sbilanciato troppo in un discorso promettendo un viaggio sulla Luna entro il 1970, i russi andavano avanti nello Spazio e gli americani non potevano non stupirci con effetti speciali.
Non lo so se sia vero o falso, per quanto mi riguarda non mi meraviglierei di nulla, ma certo una bella traballata al mito c’è stata. Ora giunge questa ennesima mazzata.

Proviamo a fare qualche ipotesi sulla sparizione dei preziosi documenti:
1) La donna delle pulizie, credendo fosse roba vecchia da buttare, visto che nessuno li aveva mai spolverati, li ha gettati nel rusco. Troppo banale, ma ogni donna l’avrebbe fatto.
2) Un dipendente, dovendo registrare al volo le finali del Super Bowl ha preso dei vecchi nastri a caso…. Orrendamente plausibile
3) Un altro dipendente che aveva preso dei porno a noleggio da guardarsi durante il turno di notte ha scambiato le cassette. (Nel videonoleggio stanno ancora cercando di capire quando comincia l’azione in quei filmini, molto molto noiosi, dove dopo un’ora sono ancora tutti vestiti e per giunta con tute pesantissime.)
4) Quei nastri non sono mai stati alla NASA ma in qualche deposito a Hollywood, visto che è stata tutta una messinscena. Ipotesi cospirazionista
5) Quei nastri sono al solito posto ma, come succede a volte, le cose che abbiamo sotto il naso non le vediamo.

Scommettiamo che tra qualche giorno qualcuno si batterà la fronte e dirà : “Ma guarda dove erano finiti! ‘A Mike, la prossima volta guarda meglio che ci risparmiamo la solita figura di merda!”

* Manco a farlo apposta, guardatevi 'sto filmato dei Broncoviz (Maurizio Crozza) che ho trovato per caso dopo aver postato.

lunedì 14 agosto 2006

La Preterrorismo

Adbullah Al Yussef, lei è in arresto per il futuro dirottamento dell’aereo che precipiterà sul Lincoln Center causando 2544 vittime innocenti”.
Sarà così il nostro prossimo futuro, in questi anni 2000 che cominciano ad assomigliare sempre più pericolosamente ai cupi scenari della fantascienza alla Philip K. Dick?
In “Minority Report”, Dick immaginò una società futura (non troppo lontana, nel 2035) dove la polizia, grazie all’unità “precrimine” e ai suoi sensitivi che vedono i delitti prima che vengano commessi, arriva sul luogo del delitto fermando l’assassino in tempo. Nel film che Spielberg ha tratto recentemente dal racconto si vede l’agente John Anderton cadere vittima lui stesso del meccanismo perverso della “precrimine” e degli intrighi di potere di un suo superiore. E’ un grande apologo contro la società apparentemente opulenta e ipertecnologica ma in realtà sempre più propensa al controllo globale degli esseri umani. Dick era uno scrittore psichicamente molto complicato, un pazzo, ma si sa che i matti vedono più in là di tutti noi.
Perché penso a Minority Report e a Philip K. Dick in questi giorni ferragostani? A causa delle ultime notizie sugli sventati attentati di Londra.
L’hanno riportato tutti i TG con grande rilievo e la giusta enfasi da parte del divulgatore di notizie, a base di occhio sbarrato, labbro tremulo e fronte corrucciata delle grandi occasioni. I soliti sospetti islamici che preparavano un devastante attentato “di proporzioni inimmaginabili”, con ben 10 aerei (!!) che, non è molto chiaro qui, dovevano esplodere in aria o lanciarsi su qualche obiettivo inglese. Tony Blair che annuncia lo scampato pericolo ed il plauso all'unisono del cuggino Bush che maledice gli “islamo-fascisti” dall’altro lato dell’Oceano. Per una rassegna completa di ciò che ci saremmo risparmiati ecco l’articolo del Corriere.
Ora, qualcuno dirà che è da pazzi anche solo pensare che non si tratti della pura realtà dei fatti raccontata da cronisti sempre attenti alla ricerca della verità a qualunque costo ma, dovete scusarmi, non ce la faccio proprio.
Se si ascoltano queste notizie con un orecchio solo, distrattamente e con mezzo cervello attivato, come è richiesto dal normale approccio ai TG la cosa può anche passare, ma provate a ragionare, ad attivare tutto il cervello e entrambe le orecchie: non c’è qualcosa di strano e romanzesco in tutto ciò che ci raccontano?
Bombe liquide, bevande energetiche (coke+mentos?), i-pods… ma vi rendete conto? La faccenda dei 10 aerei che è copiata pari pari dal progetto Bojinka del 1995, dimenticando di dire però che appartiene al periodo di quando Osama era ancora dei nostri e faceva buono in Afghanistan e poi in Kosovo. Poi, si sa, hanno avuto da dire e lui se l’è legata al dito. E poi ancora i pakistani, che è un mistero siano ancora considerati nostri amici, visto che “c’entrano” sempre, come l’UDC.
Ma soprattutto, la domanda nasce spontanea: perché creare panico inutile quando gli attentati sono stati ormai sventati? Perché bloccare aeroporti e danneggiare compagnie aeree quando il pericolo è passato? Quanti attentati, omicidi, rivoluzioni, atti di guerra, golpe, rischi di olocausto nucleare sono stati impediti dai servizi segreti e dalle diplomazie negli ultimi cento anni e non ne abbiamo mai saputo niente? Pensate alla crisi dei missili di Cuba, 1962. Che abbiamo rischiato di morire tutti inceneriti dalle bombe atomiche lo abbiamo saputo solo molto tempo dopo. Ed era logico, si è sempre fatto a quel modo. Dovrebbe essere ancora così, a meno che…
A meno che non si voglia scientificamente spargere panico, rendere la gente insicura, alimentare l’odio contro l’Islam proprio quando abbiamo bisogno di portare avanti la nostra agenda in Medio Oriente e rinnovare il messaggio propagandistico in prossimità dell’anniversario dell’11 settembre.
Ma no, che follia! Tony Blair non è il capo della “Preterrorismo britannica” e noi che lo pensiamo siamo tutti pazzi come Philip K. Dick.

lunedì 7 agosto 2006

Siffredi è Rocko o è lento?

L’altra sera mi sono divertita un mondo con una vecchia puntata di “Milano Roma” su Raisat Premium. Avete presente, quel programma “on the road” dove due personaggi noti (detesto la parola VIP), viaggiano assieme in macchina intervistandosi e cazzeggiando a vicenda (e la Fallaci ha fatto il viaggio con Oriana, riuscendo pure a litigarci).
Quello che è interessante della trasmissione è l’improbabile connubio dei due protagonisti.
Vidi un incredibile puntata con Mons. Tonini vs. Oliviero Toscani (chissà se il fotografo ha avuto il coraggio di urlare al monsignore “Sei veecchio!”, come nell’imitazione di Fiorello) e se ben ricordate vi fu un Dario Fo vs. Ambra proprio in occasione del Nobel al Dario. Vabbè, se non ricordate pazienza.
Ieri sera mi si è paralizzato di botto lo zapping quando ho visto chi erano i due: Luciana Littizzetto e Rocco Siffredi. Due geni della comicità, uno riconosciuto e ammirato (la grandissima Luciana) e uno incompreso (Rocco).
Stranamente ho visto Luciana, che solitamente di Fabio Fazio fa polpette tritate con aglio e cipolla, le arrotola sul palmo della mano e le tira a cani inferociti, un po’ sotto tono, un tantinello imbarazzata.
Lei ha raccontato questa esperienza molto disinvoltamente come è nel suo stile ma in realtà pare che non vi sia stato un gran feeling tra i due. Anzi, diciamola tutta, si sono cordialmente stati sui maroni per tutto il viaggio.
Come si evince dal continuo riferimento, nel suo articolo, all’innominato, penso però che la Luciana fosse anche preda del fenomeno dell’indigeno confuso e felice di fronte al Totem. Intimorita e attonita come davanti al monolito di 2001 Odissea nello Spazio.
Si percepiva infatti una presenza ingombrante tra i due, una sorta di convitato di pietra che avrebbe potuto saltar fuori da un momento all’altro per dire la sua.
Anche Rocco era impacciato, forse perché ha dovuto rimanere tutto il tempo della trasmissione vestito o perchè era impegnato a tenere a bada la belva.
La conversazione è parsa lievemente da ascensore:
“Che piano?” ,“3°”, “…”, “???”, “E’ un caldo, oggi!”, “Già…”
D’altra parte un intellettuale raffinato come Siffredi si sarà sentito a disagio con una “comica”. Di cosa le parli? Della visione hegeliana-etica di Mastella? O di teoria dei quanti?
Non si poteva che parlare di sesso e lui si è lanciato nell’argomento chiedendo alla Littizzetto della sua “prima volta” ma la Luciana è rimasta molto reticente e sulle sue, continuando ad agitarsi sul coprisedile irto di spine. Lui deve aver fatto uno sforzo sovrumano per trattenersi. Difficile per uno che, nel suo habitat naturale è solito esprimersi come segue:
Da "Il club dei piaceri perversi 2" :
Rocco, entrando in un angusto prive' tutto foderato di rosso, commenta: "Aho',ma che e' ? La bbara de Berlinguer" ?
Da "30 maschi per Sandy"
Rocco offre la compagnia dei suoi 2 cuochi di colore a Sandy e dopo la performance li congeda. Loro stanno per uscire e lui incazzatissimo gli grida "Aho', ma dove cazzo andate ? Tornate in cucina che c'e' da fare la pizza!!"
Capite che lo spot delle patatine è stato un momento di introspezione, quasi un haiku.
Il clou della puntata è stato quando Luciana, tanto per rompere il silenzio ha chiesto a Rocco:
“Sei credente, credi in Dio?” e lui ha risposto “Si, credo nella figa”.
Non oso immaginare cosa sarà passato per la mente di Luciana Littizzetto in quel momento.


sabato 5 agosto 2006

Tonino & Clemente

Non passa giorno ormai che le cronache non riportino l’ennesimo litigio tra Tonino e Clemente.

Una giornata tipo nella vita dei due Ministri:

0re 7:00 Tonino si sveglia e legge il giornale. Clemente ha rilasciato un’intervista a Repubblica, nella quale dichiara che lui, a differenza di Tonino, non andrebbe mai in piazza brandendo un megafono e che lascerà il suo incarico alla mezzanotte di oggi, come ha scritto nella lettera di dimissioni a Prodi se il Presidente del Consiglio non si pronuncerà in merito.

ore 8:30 Clemente telefona a Prodi per sapere se la lettera è arrivata ma il telefono squilla a vuoto.

ore 9:45 Tonino, in un intervista alla radio risponde per le rime a Clemente, accusandolo di volerlo scavalcare nelle sue competenze.

ore 9:46 Clemente telefona in diretta durante la trasmissione accusando Tonino di fare i sit-in e annunciando di volersi dimettere dal suo incarico.

ore 10:00 Il telefono in casa Prodi continua a squillare invano.

0re 12:12 Anche Tonino chiama casa Prodi, ma il professore è uscito, lasciate un messaggio.

0re 13:00 Un lancio di agenzia riporta l’ultima dichiarazione di Clemente: “Io non prendo lezioni di moralità da nessuno”, sono pronto a dimettermi.

0re 13:30 Tonino prende il megafono e, affacciatosi alla finestra inizia a declamare i nomi dei deputati che hanno votato l’indulto.

0re 14:00 Clemente, saputo dell’iniziativa di Tonino modifica il messaggio nella sua segreteria telefonica con il seguente: «La stagione del giustizialismo non è la mia, sono uscito indenne da tanti cerchi di fuoco e non ho una visione hegeliana-etica della politica e non posso accettare il giudizio per cui chi è contro l'indulto è in regola moralmente e chi è favorevole ha invece qualche vicinanza col tratto dell'immoralità».

ore 14:15 Tonino è arrivato alla lettera P del suo elenco.

0re 15:00 Clemente si sfoga con un sottosegretario: “Quello mi sta facendo impazzire”.

0re 15:30 Tonino, riprendendo il suo cane, lo chiama erroneamente “Clemente!!!”

0re 16.45 Finalmente Prodi risponde al telefono ma dice di non sapere nulla della lettera. Chiederà alla moglie.

Ore 17:00 Tonino, intervenendo ad un convegno sul giustizialismo, dichiara la sua amarezza e minaccia di autosospendersi dal suo incarico.

0re 18:00 Clemente lo corregge in diretta su SkyNews24: “Mi dimetto prima io”.

0re 19:00 Tonino sul suo blog scrive: “Decida il premier, non ci metto niente a dimettermi.”

ore 20:00 A cena con i suoi collaboratori Clemente ci ripensa e dice che non si dimetterà, per il bene della coalizione.

ore 20:00 A cena con i suoi collaboratori Tonino ci ripensa e dice che non si dimetterà, per il bene della coalizione.

0re 23:55 Clemente, stanco della giornata frenetica va a letto. Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi è “Mannaggia a Tonino!”

ore 23:59 Tonino, stanco della giornata frenetica va a letto. Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi è “Mannaggia a Clemente!”

ore 00:30 – Finalmente Prodi guarda la posta e legge la lettera di dimissioni di Clemente, ma ormai è troppo tardi.

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mercoledì 2 agosto 2006

Temo i Radicali anche quando portano doni

Quando fu chiaro che i radicali, fino a cinque minuti fa più Berlusconiani di Bondi, alle ultime elezioni si sarebbero alleati con il centrosinistra dopo un rapido matrimonio riparatore con i socialisti, mi vennero in mente le parole che Virgilio attribuisce a Laocoonte nell’Eneide: “Timeo Danaos et dona ferentes (“Temo i Greci anche quando portano doni”). Il riferimento è al famoso cavallo di Troia.

Va bene che bisognava fare mucchio e che nell’Unione c’è dentro di tutto e di più, ma in un paese dove questa attuale maggioranza ha vinto, sempre per restare in tema di cavalli, per meno di una lunghezza, con una opinione pubblica sempre pronta a cedere alle lusinghe del Grande Piazzista appena questi fa l’occhio languido da uno schermo televisivo ancora sottomesso a lui, come potevamo non prevedere che le “battaglie” di Pannella avrebbero creato qualche problemino all’alleanza, e innescato un interessante effetto Cavallo di Troia?
E’ vero che le stesse battaglie radicali erano state condotte sotto il precedente governo e che il cambio di campo derivava dalla delusione per le mancate promesse berlusconiane, ma nessun Pannella avrebbe mai potuto mettere in crisi il Divo di Arcore, se non altro perché il suo appoggio era rimasto esterno. Siamo certi che invece per il governo Prodi non stia accadendo il contrario?
Vediamo l’indulto e/o amnistia, uno dei pezzi forti del Marco e dei “pugnetti rosa” che il governo Berlusconi ha sempre tranquillamente ignorato senza subirne conseguenze in termini di consenso.
Sia ben chiaro, che in carcere ci finiscano di solito più i poveracci che i furbetti è innegabile. Tutte le campagne pannelliane hanno un fondo di verità e giustizia. Ma tutte queste buone ragioni sono state ora annichilite dalla mossa scellerata ed inciucista del governo di centrosinistra che ha allargato l’indulto ai reati finanziari con i risultati che ha così ben descritto Marco Travaglio, per non parlare delle multinazionali che potranno evitare i processi per inquinamento e boiate varie.
Ed ecco l’effetto cavallo di Troia, con i Troiani che per la verità si danno le martellate sui coglioni da soli per venire in aiuto ai Greci.

Ascolto Radio Radicale da più di vent’anni e da parecchio mi sembrano posizionati stabilmente sulla sponda neocon, con Capezzolone che è in stretto contatto con personaggi come Michael Ledeen, e la Bonino che ogni tanto si lascia scappare che bisognerebbe abolire i sindacati.
L’impostazione ideologica ultraliberista non mi sembra cambiata dall’ultimo salto della quaglia, mitigato dalla permanenza in fascia destra di coerenza dei Della Vedova & Taradash. Le rassegne stampa della Radio lette dall’ottimo direttore Bordin sono rimaste come prima simpatizzanti a destra e sono le uniche in Italia nelle quali sia prevista la lettura integrale de “il Foglio”.
La domenica mattina va in onda un’interessante rubrica sul Sudamerica che pare scritta dagli esuli cubani a Miami. Capezzone si, critica Berlusconi, ma è un volpino, attenti.
Solo Pannella si ostina ancora, ma dev’essere l’età, a chiamare tutti “compagni”. Gaber diceva: “Compagno radicale, la parola compagno non so chi te l'ha data, ma in fondo ti sta bene, tanto ormai è squalificata, compagno radicale, cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino ti muovi proprio bene in questo gran casino”.
Insomma, si sta a sinistra con il portafoglio ma il cuore è rimasto a destra come prima. E alle prossime elezioni altro salto triplo carpiato, questa volta all’indietro.

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